Nel pieno della seconda guerra mondiale Bernard Berenson, il grande critico d’arte e studioso del Rinascimento, è in Italia, a Firenze. Cresciuto in America ma toscano di adozione, Berenson vive buona parte di quegli anni di lotta e paura nella villa dei Tatti, tra le mura antiche vigilate da Giotto, Ambrogio Lorenzetti, Ercole de’ Roberti.
Qui, tra il 1941 e il 1944, alimenta le sue ricerche enciclopediche, dai geroglifici delle piramidi agli affreschi perduti di Mantegna, rilegge Benedetto Croce, Bergson, i versi di Shelley. Ma la bellezza non basta a tenere lontana la barbarie, e così le letture, gli incontri, le fughe improvvise dell’umanista riflettono l’avanzata del fascismo, le conseguenze delle leggi razziali, testimoniano la sua precaria libertà. I Tatti diventano il confino volontario di un pellegrino della bellezza, che in questo libro si racconta mentre vede intorno a sé salire “una marea che minacciava di sommergere e inghiottire quel che faceva la sua ragione di vita e il bene più prezioso di una civiltà”.
“Se le aspirazioni verso il bene e il bello sopravviveranno, che forma prenderanno, che espressione troveranno nelle arti verbali e visive e della musica? Non possiamo immaginarlo più di quanto un greco del tempo di Pericle avrebbe potuto prevedere le cattedrali di Chartres o di Reims, le tragedie di Shakespeare, la musica di Beethoven, di Wagner o di Strauss.”