«L’opera d’arte è stata da me sentita, a un certo punto, come una possibilità d’incontro. Cosa rimane, adesso che ho perso questo ruolo all’interno dell’arte? Sono forse diventata artista? Posso rispondere: non sono più un’estranea.». Con questa riflessione, nel 1969 Carla Lonzi è pronta a far precipitare Autoritratto nella galassia della critica d’arte in Italia, attribuendo al suo libro-asteroide proprietà che associamo agli oggetti provenienti da un altro spazio, da un altro piano: la meraviglia della scoperta, la fascinazione verso qualcosa di cui non si capiscono immediatamente i contorni, ma che avrà dei riverberi profondi non solo sul modo di intendere la critica d’arte, ma anche sul dialogo tra persone impegnate a ragionare sul senso del proprio lavoro, come le artiste e gli artisti coinvolti nel libro. L’obiettivo, in una scrittura che si ostina a essere libera rispetto ai tipici codici culturali con cui attribuiamo valore alle cose, è stabilire un punto di contatto orientato all’autenticità, cercare di avvicinarsi il più possibile a un momento di luce nella vita interiore.
Autoritratto è un libro fondamentale per come si scrive d’arte, ma è anche il preambolo della pratica dell’ascolto che rivoluzionerà il femminismo di Carla Lonzi e rappresenta un documento inestimabile per chi vuole esplorare la zona di contatto in cui la teoria, dissolta in qualcosa di nuovo, si fa anche letteratura.