Radicale è la poesia di Piero Salabè, i cui versi al calor bianco bruciano tutte le scorie. Il suo poema, frantumato in tante singole gemme, è unitario nell’essenziale musica del linguaggio e del sentire; è di una ferma classicità e insieme di un’inedita, temeraria liricità, che ingloba con assoluta coerenza frammenti di altri linguaggi (soprattutto spagnolo e inglese) come perle pescate
in un pozzo. Un poli-linguismo musicale, non intellettualistico. Una lirica che si inserisce nella grande tradizione della poesia metaforica e della poesia in guerra con le parole; poesia che come un fiume scorre verso il silenzio. Ammutolire, ignorare, felicità di non sapere. Canzoniere d’amore, totalizzante eppure lieve come l’ala di un gabbiano o la cresta di un’onda. Amore come presenza che tutto pervade, folata di vento che può afflosciarsi e svanire. Canzoniere d’amore con tutto il suo protendersi nell’infinto e tutta la maniacale, grottesca e struggente precisione dell’amore, attento a ogni minima sfumatura dell’oggetto amato, come le ore dei baci annotate con cronometrica esattezza. Versi taglienti, che tagliano anche il cuore. Poesia verticale, avrebbe detto Umberto Saba, maestro dell’epicità orizzontale della calda vita; la grande presenza che aleggia nell’opera di Salabè, anche esplicitamente nominata, è Eugenio Montale. Immagini sorprendenti, metafore di una originalità sorgiva e di consumata familiarità con la più alta e ardua tradizione lirica, assorbita nel proprio sentire.
Claudio Magris