“A ripensarci, solo un incosciente poteva intitolare nel 1978 un suo romanzo L’amore borghese, in pieno post Sessantotto, con la borghesia fatta a pezzi e i sentimenti, a cominciare dall’amore, dileggiati o messi sotto le scarpe. Del resto, era vero: volevo raccontare la storia di un adulterio, descrivere una famiglia borghese proprio di quell’epoca, e i tormenti di uno scrittore che dalle strettoie palesi di quell’epoca voleva sollevarsi. Nelle interviste mi chiedevano: lei parla della borghesia? Sì, rispondevo, ma è così strano? Poi, con la sua recensione, arrivò Carlo Bo. Che scrisse: ‘L’abilità dello scrittore va colta nel confronto fra la mediocrità dei dati (adulterio, matrimoni, vita di scrittore) e il riflesso interiore delle conseguenti vicende. Il lettore, alla fine, ha qualcosa di molto più importante di un piccolo catalogo di notizie: ha cognizione di un sentimento capitale della vita… che è poi il mistero o quanto del mistero siamo in grado di cogliere’.”
Giorgio Montefoschi