
Scritto all’indomani della morte di Primo Levi, Lettera alla madre è un “dialogo in forma di soliloquio” in cui, accanto a temi cruciali per l’opera di Edith Bruck, quali il racconto del trauma vissuto in prima persona nei campi di concentramento dell’Europa Centrale, la propria diaspora famigliare e il dramma storico della Shoah, l’autrice affronta, attraverso una prospettiva intima, la contrapposizione tra fede religiosa e laicità e propone una profonda riflessione su cosa significhi per un superstite dell’Olocausto avere la responsabilità di esserne testimone.
Il confronto serrato e a tratti impietoso con la figura della madre, ebrea ungherese saldamente ancorata alle tradizioni, diventa il luogo per la rievocazione di un’infanzia sospesa tra ricordi e fantasmi, per un’analisi delle proprie scelte e per una interrogazione di sé e del proprio valore testimoniale.

Edith Bruck, di origine ungherese, è nata nel 1931 in una povera, numerosa famiglia ebrea. Nel 1944, poco più che bambina, il suo primo viaggio la porta nel ghetto del capoluogo e di lì ad Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen. Sopravvissuta alla deportazione, dopo anni di pellegrinaggio approda definitivamente in Italia, adottandone la lingua. Nel 1959 esce il suo primo libro
Chi ti ama così, un’autobiografia che ha per tappe l’infanzia in riva al Tibisco e la Germania dei lager. Nel 1962 pubblica il volume di racconti
Andremo in città, da cui il marito Nelo Risi trae l’omonimo film. È autrice di poesia e di romanzi come
Le sacre nozze (1969),
Lettera alla madre (1988),
Nuda proprietà (1993),
Quanta stella c’è nel cielo (2009, trasposto nel film di Roberto Faenza
Anita B.), e ancora
Privato (2010),
La donna dal cappotto verde (2012). Presso La nave di Teseo sono usciti
La rondine sul termosifone (2017),
Ti lascio dormire (2019),
Il pane perduto e
Tempi (2021) Nelle sue opere ha reso testimonianza dell’evento nero del XX secolo. Nella sua lunga carriera ha ricevuto diversi premi letterari ed è stata tradotta in svariate lingue. È traduttrice tra gli altri di Attila József e Miklós Radnóti. Ha sceneggiato e diretto tre film e svolto attività teatrale, televisiva e giornalistica.