Il telefono di Gian Antonio Cibotto squilla all’improvviso in una sera di ottobre del 1963: il giornale lo incarica di raggiungere la valle del Piave, dove una frana ha lanciato una montagna d’acqua oltre la grande diga del Vajont, fino a investire i paesi sottostanti. Per il “poeta delle acque”, che aveva già raccontato l’alluvione del Polesine del 1951, è un incubo che si rinnova.
Tra i primi ad accorrere nel paesaggio trasformato in una distesa inerte di fango, Cibotto raccoglie le grida dei superstiti, la concitazione dei soccorritori, il dolore di chi è rimasto solo. Il suo sguardo da narratore partecipa alla tragedia scoprendo l’umanità degli abitanti di una valle maledetta, inseguendo nelle voci da osteria il disincanto, la speranza, lo sdegno.
Dopo i primi, tempestivi, resoconti giornalistici che questa edizione ripropone in appendice, per quasi vent’anni Cibotto terrà in un cassetto il racconto delle ore a Longarone, troppo grande è il dolore per quella ferita. Un dolore che solo la scrittura di questo libro – insieme letteratura, testimonianza, canto civile – riuscirà, in qualche modo, a riscattare.